Tra le moltissime date che ci vengono fatte memorizzare a scuola durante le ore di storia, una rimanda al 1455 nella cittadina tedesca di Magonza dove Johannes Gutenberg idea e perfeziona la prima macchina da stampa con caratteri mobili e produce la prima Bibbia realizzata con l’innovativo metodo. Si tratta di una vera e propria rivoluzione (benché in Cina una tecnica simile fosse in uso dal 1041, ma non era ancora conosciuta in Europa), e non è un caso che proprio da qui si faccia iniziare l’anno zero di quella che oggi chiamiamo tipografia.
Dal Quattrocento all’era digitale
L’intuizione di Gutenberg era infatti destinata ad aprire l’epoca moderna del mondo della stampa: allineando i singoli caratteri metallici si formava una pagina che veniva poi cosparsa di inchiostro e pressata su un foglio di carta. Gutenberg decide di utilizzare alfabeti che rimandano al “Textur” gotico, ideato dal vescovo Wulfila, ma le variazioni successive portano all’adozione definitiva del “Fraktur”, ovvero il gotico in uso nei Paesi della Riforma.
La rapida diffusione su scala europea del nuovo sistema di stampa comporta, com’è immaginabile, l’utilizzo di diversi alfabeti e di differenti caratteri a seconda della nazione e della relativa cultura. Se in Germania, dunque, prevale il gotico, nei Paesi coinvolti dal Rinascimento si predilige la scrittura latina o “umanistica”, contraddistinta da caratteri tondeggianti. Di lì a breve, la scrittura “cancelleresca” – sempre più in auge – partorirà il corsivo. Sono di fatto gli antenati dei moderni font: famiglie di caratteri caratterizzate da forme e stili coerenti tra loro.
Con l’evoluzione dei caratteri, anche le macchine da stampa vengono sviluppate e perfezionate nel corso dei secoli, fino a quando Friedrich Koenig nel 1814 mette a punto, su incarico del Times di Londra, una stampante piano-cilindrica doppia azionata da una macchina a vapore. È di fatto l’antenata della rotativa, che verrà brevettata di lì a poco (nel 1866, per la precisione). A ruota arrivano la Linotype di Ottmar Mergenthaler nel 1886 e la Monotype inventata da Tolbert Lanston nel 1889: si tratta dei primi macchinari di composizione tipografica automatica. Con queste nuove macchine si sviluppano nuove famiglie di caratteri: il “Century”, creato da Linn Boyd Benton nel 1894; i “Goudy”, il cui nome è lo stesso dell’inventore, Frederic Goudy; il “Times” messo a punto da Stanley Morison tra le due Guerre Mondiali, nel 1932.
L’arrivo dei computer segna un ulteriore e decisivo passo avanti nella storia plurisecolare della tipografia: il processo è automatizzato ed è lo schermo a mostrare in anteprima quello che sarà il risultato stampato. Ma non solo: le tecnologie permettono di avere a disposizione centinaia di font per chi lavora in digitale, da quelli tradizionali ai caratteri nati proprio per esigenze informatiche (l’informale e controverso Comic Sans), fino a quelli progettati e messi in commercio ogni giorno dai designer di ogni angolo del mondo.
La classificazione di Novarese
Tra i più attivi e importanti disegnatori di caratteri del Ventesimo Secolo c’è senza dubbio l’italiano Aldo Novarese, il quale nel 1956 è riuscito a classificare i caratteri tipografici assemblandoli in un numero circoscritto di 10 famiglie di font. La sua classificazione è ancora oggi considerata una delle più rilevanti e complete a livello internazionale, e suddivide le famiglie secondo criteri storici, estetici e del disegno.
Ecco dunque le dieci famiglie individuate da Aldo Novarese:
Lapidari: ispirati dalle incisioni sulle lapidi antiche (si pensi a quelle di epoca romana), questi caratteri presentano linee triangolari che vanno a formare un angolo acuto con le linee della base.
Medioevali: così chiamati perché modellati sugli scritti degli amanuensi, altrimenti detti “gotici”, sono stati di fatto i primi caratteri mobili utilizzati da Gutenberg e per tutto il Quattrocento. Presentano estremità allungate e angoli accentuati, caratteristiche che ne fanno dei caratteri di difficile lettura.
Veneziani: come i lapidari derivano dai caratteri romani antichi, ma allo stesso tempo anche dalla scrittura umanistica. La forma è più arrotondata, l’asse verticale è inclinato da 30° fino a 45° all’indietro, il contrasto tra i pieni e i filetti è debole e le grazie hanno una forma arrotondata con la base concava.
Transizionali: così appellati perché indicano la transizione tra i “romani antichi” (i lapidari) e i “romani moderni” (i veneziani). Presentano grazie orizzontali e terminano in una sottile asta lineare. Il più celebre e diffuso tra i transizionali è senza dubbio il Times New Roman.
Bodoniani: devono il loro nome a Giambattista Bodoni, autore del Manuale tipografico pubblicato postumo dalla moglie, mentre in inglese e francese vengono chiamati “Didoniani”. I caratteri di questa famiglia presentano uno stile molto geometrico e un rapporto esasperato tra le aste.
Scritti: fanno parte di questa famiglia tutti i caratteri che vanno a imitare la scrittura a mano (e infatti vengono anche definiti “calligrafici”). Le caratteristiche variano a seconda del tipo di strumento di scrittura che si cerca di imitare a livello tipografico.
Ornati: detti anche “decorativi”, presentano appunto decorazioni e sono solitamente impiegati come capilettera, in forma maiuscola.
Egiziani: questi font hanno come principali caratteristiche la forma robusta delle grazie e gli angoli retti formati da queste ultime.
Lineari: detti anche “bastoni”, sono caratteri semplici, spartani, privi di grazie decorative. In altre parole, i Sans Serif.
Fantasie: ovvero i caratteri… inclassificabili. I font che non rientrano nelle precedenti 9 famiglie trovano casa nelle fantasie.
Approfondimento: Serif e Sans Serif
Le dieci famiglie individuate da Aldo Novarese sono tutt’oggi uno dei modelli più diffusi e accreditati per individuare le differenti tipologie di font. A livello più pratico, tuttavia, la suddivisione più comune consiste nell’appartenenza dei caratteri ai Serif o ai Sans Serif: i primi sono font dotati di grazie, mentre i secondi, detti anche bastoni e più recenti in campo tipografico, sono font privi di grazie e pertanto decisamente più semplici.
I Serif si rifanno solitamente ai caratteri classici e, risultando più aggraziati e dalle forme più elaborate, vengono impiegati per pubblicazioni cartacee di ogni tipo, dai libri alle riviste, in quanto maggiormente riconoscibili dal cervello umano e dunque di più facile lettura.
I Sans Serif – la cui nascita viene individuata nel 1816 presso la fonderia di William Caslon in Inghilterra – hanno invece ricevuto grande diffusione con l’avvento dei computer, poiché più facili da leggere su monitor a bassa definizione. Un altro largo utilizzo è nella cartellonistica pubblicitaria e nei titoli, ovvero in testi brevi e che sottintendono una lettura più veloce e diretta.
L’utilizzo di Serif e Sans Serif è dunque funzionale al tipo di messaggio, alla sua lunghezza e al supporto sul quale viene visualizzato. Non dimenticarlo quando ti accingi a scegliere i font più adatti per i tuoi prossimi progetti grafici!
(fonte immagine in alto: wikipedia.org)
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