“Ci deve essere una certa soglia al di la’ della quale la percezione, l’assimilazione senza coscienza dello sforzo assimilativo, diventa interpretazione”. Così scriveva lo psichiatra svizzero Hermann Rorschach, famoso per l’invenzione del test psicologico delle macchie di inchiostro. Si tratta di un test basato sul meccanismo psicologico della proiezione, ovvero l’attribuzione dei propri sentimenti ad un oggetto o ad una persona mediante un processo inconscio; da questo test lo psicologo ricava informazioni sulla personalità del paziente.
L’arte visiva, nel corso dei secoli, ha adottato un meccanismo simile: la percezione di un’opera dipende dalle caratteristiche psichiche del soggetto, dalle esperienze personali, dal patrimonio culturale. Semplificando moltissimo, la percezione diventa soggettiva, così come la lettura dell’opera; come Rorschach vede l’inconscio di un paziente attraverso il test delle macchie, allo stesso modo l’Astrattismo, l’Informale e il Surrealismo aspirano a superare la ragione, a guardare oltre. L’arte e la psicologia sono due binari che corrono paralleli.
Anche per questo, le macchie sono sempre state presenti nel mondo dell’arte: secondo Leonardo da Vinci un buon esercizio di fantasia per i pittori è quello di osservare le macchie d’umido e di muffa sui muri vecchi; Goya, nelle sue opere, inserisce macchie cromatiche per esprimere tensioni nascoste; per i pittori macchiaioli la realtà era formata unicamente da macchie di colore; il primo acquarello astratto di Kandinskij è un insieme di macchie colorate e questi sono solo pochissimi esempi.
Anche al giorno d’oggi le macchie non hanno smesso di ispirare e farsi strada tra le opere di artisti e designer: un esempio su tutti è il lavoro della giovane illustratrice riminese Marianna Balducci che in occasione dell’Inktober 2015 (una piccola sfida nata nel 2009, e poi diventata virale, dal disegnatore americano Jake Parker che stimola i disegnatori a postare sui social network un proprio schizzo fatto ad inchiostro in ogni sua declinazione, quindi pennello, pennino o penne) ha scelto di lavorare proprio sulle macchie, “per rendere l’inchiostro il vero protagonista. […] La sfida è quella di assecondare la macchia del giorno e vedere cosa mi racconta. […] Mi accorgo che, come forse davvero se interpretassi le macchie di Rorschach, emergono immagini che parlano di me e del mio modo di vedere le cose.” racconta Marianna ad un’intervista su frizzifrizzi.it.
Non occorre però essere illustratori di professione, disegnare (anche mentalmente) su una macchia è qualcosa che, consapevolmente o meno, sicuramente è capitata a tutti almeno una volta nella vita: una nuvola che ricorda un volto o una chiazza d’umidità che sembra un animale. Si tratta di pareidolia, ovvero la tendenza a ricondurre immagini astratte a forme familiari e su questo principio il duo di artisti Peng e Hu hanno creato il libro dal titolo Hirameki, ispirazione.
Il libro presenta 192 pagine ricchissime di macchie colorate, è strutturato in sette sezioni (animalism, collections, variations, additions, combinations, interactions, freestyle) ed invita, seguendo la propria ispirazione, a disegnare ciò che le viene suggerito dalle macchie, facendo così nascere fiori o automobili da chiazze di colore per creare piccoli schizzi che più personali non si può.
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