Chi “mastica” di grafica sa bene (o quantomeno dovrebbe sapere) che la tendenza di questi ultimi anni vede vincitore il flat design rispetto a soluzioni più complesse ed elaborate (il cosiddetto scheumorfismo). Dal Web alla comunicazione cartacea, il flat design ha guadagnato sempre più campo, fino a diventare un “must” per chi si occupa di grafica e di comunicazione. Ma che cosa si intende, esattamente, con i termini flat design e scheumorfismo? E perché il primo sta avendo la meglio sul secondo?
Per conoscere la risposta a queste domande, non ti resta che leggere questo veloce ed esaustivo articolo..
Che cos’è il flat design
Detto nel modo più semplice e basilare possibile, il flat design è un design piatto – dunque in 2D – e caratterizzato da una grafica pulita e minimale: niente ombre, niente grazie nei font (quindi i Sans Serif, in buona sostanza), nessuna prospettiva, pochi o nulli dettagli e particolari. A “lanciare” la moda questa volta pare sia stata la Microsoft nel 2012, in concomitanza con l’arrivo sul mercato del suo sistema operativo Windows 8. In controtendenza rispetto a una sempre più marcata diffusione di design elaborati, il sistema operativo lanciato da Bill Gates si poneva in netto distacco rispetto all’imitazione della realtà, preferendo una stilizzazione delle forme e una pulizia visiva che nel giro di poche settimane avrebbe fatto scuola.
Da qui l’aggettivo “flat”, che in inglese sta per piatto. Ecco: il flat design annulla qualsiasi fronzolo e riduce tutto all’essenziale, allo schematico, ai colori ben distinti, alle forme semplici, alla dimensione bidimensionale.
Il fatto che già nel 2013 anche Apple abbia invertito la rotta puntando sul flat design è il segnale inequivocabile che questa “scuola di pensiero” aveva preso il sopravvento sulle altre, e a tutt’oggi è ancora così.
Che cos’è lo scheumorfismo
Sarebbe davvero comodo definire lo scheumorfismo come “l’esatto opposto del flat design”, anche perché di fatto… a grandi linee è così. È infatti l’ornamento (fisico o grafico) che viene applicato a un oggetto con lo scopo di richiamare le caratteristiche estetiche di un altro oggetto la peculiarità di questo termine (o teoria di design, se preferisci) che prende il nome dal greco antico. Nell’ambito informatico, l’accezione originaria sta a indicare la simulazione digitale di oggetti presenti nel mondo “reale”: si pensi a un’interfaccia che riproduce le venature del legno, ad esempio. In senso più ampio, però, l’aggettivo “scheumorfico” viene comunemente utilizzato per tutte le grafiche che cercano di riprodurre nel modo più efficace il mondo reale, utilizzando ombre, effetti 3D, gradienti, sfumature, e così via.
L’importanza di essere “flat”
Si può dire, schematizzando (ma non troppo) l’argomento, che il primo decennio del nuovo millennio sia stato contraddistinto dallo scheumorfismo. E, allo stesso modo, che nella seconda vi sia stata fin da subito (o quasi) il trionfo del flat design. Fino alla morte di Steve Jobs avvenuta nel 2011, Apple ha sempre preferito un design votato allo scheumorfismo: in un’epoca in cui la tecnologia digitale riusciva a diventare sempre più realistica, tale modello segnava la distanza rispetto ai concorrenti. Il cambio di rotta da parte di Windows 8 (ma anche di Windows Phone, a ben vedere), subito recepito dai designer di tutto il mondo, ha però rivoluzionato il modo di vedere (anzi: rappresentare) le cose, tant’è vero che – come si diceva – già dal 2013 l’azienda di Cupertino ha deciso di adeguarsi alle nuove tendenze.
Negli anni Dieci, in buona sostanza, la definizione e il realismo del design ha raggiunto livelli talmente elevati da non essere più considerato un metro di paragone. L’avvento del flat design è pertanto una “reazione” all’iper-realismo che punta alla semplicità e alla pulizia. Ma non solo: il flat design è una tipologia di grafica estremamente adattabile a ogni tipo di supporto e di contesto, e questo pregio va di pari passo con un altro egualmente importante, ovvero la facilità di comprensione da parte degli utenti – nonché di progettare da parte di chi li crea, com’è evidente che sia.
D’altro canto, come ogni strumento, anche il flat design può diventare un’arma a doppio taglio se non si è in grado di utilizzarlo a dovere. Il rischio che si corre è infatti quello di trasformare un’interfaccia “flat” in un ambiente troppo piatto (nel senso letterale, questa volta) e uniformato dove, per assurdo, nessun elemento viene messo in risalto rispetto agli altri ed è pertanto difficile orientarsi.
In tal senso, per evitare l’effetto boomerang qui descritto, rivestono un ruolo fondamentale i colori e i font: vediamo perché.
I colori nel flat design
Una grafica essenziale può essere resa vitale da un più largo utilizzo dei colori. A tale proposito, il flat design si presta per sua natura a ospitare un più vasto (e “coraggioso”) numero di tinte rispetto allo scheumorfismo e pure alle palette standard che non vanno oltre i 4-5 abbinamenti. Qui invece si può – e forse si deve – osare anche con tonalità molto luminose e spericolate, e non c’è filosofia che tenga: si possono usare tinte pastello, colori retrò, primari, secondari e terziari, e così via. L’importante è dare vita ad abbinamenti sensati e in grado di attirare l’attenzione!
I font nel flat design
Come si accennava in fase di introduzione, il flat design è per sua natura una filosofia che punta all’essenziale, e questo modo di essere si riverbera su tutti gli elementi che lo compongono, caratteri compresi. Ecco perché i font devono essere Sans Serif, ovvero totalmente spogliati delle grazie, e preferibilmente bold, cioè in grassetto, per favorire la leggibilità. Anche qui, insomma, il minimalismo è la regola d’oro, ma ciò non significa che si debba risultare banali. Anzi: è vero l’esatto opposto. Il proliferare di nuovi font dà la possibilità di avere sempre a portata di mano dei caratteri moderni, vintage, industrial, street art, e così via in una gamma quasi infinita. L’importante è che il font stia bene nel contesto in cui viene inserito.
Oltre scheumorfismo e flat design: il material design
L’universo del design non è però semplicisticamente suddiviso in due pensieri a confronto. Come sempre accade, c’è chi trova una terza (o quarta, o quinta…) strada che sia in grado di prendere in prestito le caratteristiche migliori dei due modelli per forgiarne uno nuovo e ancora più funzionale. È il caso di Google, che ha di fatto indicato una terza via (di mezzo) con il suo auto-definito material design. Con questa accezione si intende un design che attinge dalla semplicità del flat ma vi inserisce animazioni responsive, effetti di profondità come illuminazioni e ombre, “una materia che può espandersi e riformarsi in modo intelligente”, usando le parole del designer Matias Duarte. Adottato per la prima volta nel 2012 in Google Now, software di assistenza personale intelligente, il material design ha preso piede come valida e largamente utilizzata alternativa al flat design – e in effetti può esserne considerata appunto un’alternativa o un’evoluzione.
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