L’avvento di Internet ha cambiato, nel corso degli ultimi venti anni, le regole della fruizione musicale. Lo ha fatto forse in modo graduale, certamente non lineare e univoco, ma lo scenario che viviamo oggi è a suo modo controverso e indecifrabile, nonché – ovviamente – in continua evoluzione. Al punto che, come hanno ammesso gli stessi “giganti” della musica online, decifrare ciò che avverrà nel prossimo futuro è assolutamente impossibile. Vediamo perché.
L’eterno ritorno dei supporti fisici
Con lo sgretolamento della industria musicale così come eravamo soliti conoscerla una volta, con la musica “digitale” a scalzare i supporti fisici, ogni tipo di regola nell’establishment musicale è sostanzialmente decaduta. Oggi, infatti, le etichette musicali – o gli artisti stessi, a seconda dei casi – decidono come muoversi in totale autonomia, anche tenendo conto della consistenza del proprio seguito e della tipologia stessa delle persone potenzialmente interessate alla loro proposta artistica. Il panorama è talmente frastagliato da contemplare, allo stesso tempo, le soluzioni più antiche e quelle più moderne. Si è discusso a lungo, e con opinioni spesso contrastanti, sul ritorno sulle scene del vinile. Un supporto proveniente da un’altra epoca eppure insuperato per i puristi del suono, quelli che non concepiscono l’ascolto attraverso mp3 o servizi streaming. La costante crescita di vendite di dischi in vinili, piccola a livello numerico ma senza dubbio significativa, testimonia come vi siano percentuali di fruitori tuttora disposti a spendere cifre più elevate (almeno in media) per assicurarsi un supporto fisico.
D’altro canto, non sempre il supporto fisico è sinonimo di alta qualità audio. Un altro ritorno, quello delle musicassette, sebbene ancora più contenuto a livello numerico, non rappresenta altro che una operazione nostalgia (e di marketing) solitamente abbinata a tirature limitate. In pratica, un cimelio per i fans più affezionati. Se poi possiedono ancora un vecchio stereo, tanto meglio.
A corredo di questo “eterno ritorno”, eventi come il Record Store Day quasi invitano label e artisti a dare (o ridare) alle stampe titoli non più presenti sul mercato, materiale mai dato alle stampe, edizioni introvabili o irripetibili, tirature limitate ordinabili in un numero ancora più limitato di negozi di dischi (quelli ancora vivi e vegeti, s’intende).
Mp3 e streaming: la musica diventa digitale
L’avvento di Internet porta con sé, fin dalla prima ora, la diffusione legale e… illegale della musica. Il formato Mp3 rappresenta la nuova frontiera dell’ascolto: non necessariamente in alta definizione, ma in grado di essere salvato sui dispositivi e riprodotto ogni volta che si desidera, senza alcuna perdita di qualità audio. Tra i primissimi a intuirne le potenzialità, e a mettere in commercio i file in Mp3, c’è Apple con iTunes. Si può scegliere di acquistare un singolo brano, o un intero album, con prezzi ovviamente differenti. Semplice e immediato: la musica non è mai stata così “comoda” da trovare. Ma in parallelo al download nascono i servizi in streaming, grazie ai quali non è più obbligatorio scaricare la musica. Basta una connessione e il gioco è servito. I primi colossi in tal senso non possono che essere SoundCloud e Bandcamp, ma negli ultimi 2-3 anni è l’avvento di Spotify a dare la spinta decisiva allo streaming musicale sul Web. Qualsiasi titolo (o quasi) a portata di un clic. Una evoluzione che rende il rapporto con la musica sempre più impalpabile: si ha tutto a disposizione, senza avere nulla di concreto sotto mano, fosse anche “solo” un mp3. Ma è davvero così?
Una convivenza possibile?
A fronte della “smaterializzazione” della musica, quest’ultima resiste in ogni sua forma. Per capirlo, basti citare i dati forniti da Bandcamp stesso in un rapporto nel quale la piattaforma di streaming (e non solo, come vedremo) si interroga sul presente e sul futuro della fruizione della musica sul Web – anche a fronte della poi smentita scelta di Apple di abbandonare la strada dei download. Bandcamp afferma di essere cresciuta del 35% nel corso dell’ultimo anno, di guadagnare 4,3 milioni di dollari al mese ogni mese dagli acquisti effettuati dai fan, di una media di 25.000 album acquistati ogni giorno sulla sua piattaforma, in pratica uno ogni 4 secondi. Stiamo parlando di una piattaforma di streaming, ma i dati si riferiscono alla musica acquistata, che nel caso di Bandcamp significa scaricata in formato mp3, streaming illimitato anche per smartphone, ma anche acquistata “fisicamente”, tant’è vero che viene sottolineato come il 30% delle vendite su Bandcamp venga effettuato per vinili o altre tipologie di merchandising. La crescita del vinile nell’ultimo anno è pari al 40%, quella delle musicassette addirittura del 49%. Dove sta la verità? O meglio: dove sta andando il mercato musicale? Verrebbe da dire… ovunque, sebbene in percentuali diverse. Se è vero che lo streaming sta prendendo il sopravvento, è d’altra parte vero che a sua volta sta trainando anche altre tipologie di fruizione musicale, non ultime quelle tradizionali. Il meccanismo è suppergiù il seguente: l’utente viene a conoscenza di un nuovo artista, scopre che gli piace, ne legge la storia, la provenienza e le caratteristiche essenziali, è disposto ad acquistarne l’album in versione digitale (mp3) o fisica (vinile, Cd) per poterlo trasportare su chiavetta Usb o nel lettore dell’auto – o nel più classico degli stereo, ovviamente.
Fosse così, potremmo affermare – senza averne la certezza, ma quantomeno qualche indizio fondato – che alla fin fine metodi vecchi e nuovi possano convivere, magari alimentandosi l’uno con l’altro. Un equilibrio certamente precario, che magari domani verrà spazzato da un altro ordine delle cose. Il futuro è imperscrutabile, ma per adesso la convivenza appare possibile, anche se difficile. Più per gli artisti e le etichette, ovviamente, che per gli iper agevolati ascoltatori.
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