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Home  /  Blog  /  Comunicazione  /  Brand genetic e Prisma di Kapferer: come nasce l’identità di marca
14 aprile 2016

Brand genetic e Prisma di Kapferer: come nasce l’identità di marca

Scritto da Emanuele Salvato 14 Aprile 2016
Comunicazione Lascia un commento Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio 2023

Proprio come un essere vivente, anche un brand possiede un suo codice genetico. Secondo il modello della cosiddetta “brand genetic”, infatti, ogni marchio rappresenta l’unione di una serie di fattori ereditari e in costante evoluzione, caratteri dominanti e fattori recessivi, proprio come se si trattasse di un organismo soggetto alle leggi della natura.

Oppure, secondo un altro modello, il brand può essere rappresentato alla stregua di un essere umano, con un suo fisico, una personalità ben definita, una cultura, una capacità di relazionarsi con il pubblico al quale si rivolge. Questa teoria è quella del cosiddetto Prisma a 6 facce di Jean Noel Kapferer.

Due diversi modi di illustrare la costruzione dell’identità di marca: per certi versi simili – i paragoni con gli esseri viventi – e per certi versi, invece, differenti.

Andiamo a scoprirli più da vicino!

Brand genetic: la marca come un Dna

Questa interessante teoria è stata messa a punto diversi anni fa dall’agenzia pubblicitaria Young & Rubicam di Londra con la collaborazione di Jim Williams. Secondo tale modello, un brand è composto dai seguenti caratteri dominanti:

  • un Progenitore, ovvero il prodotto o servizio che ha generato l’intera specie;

  • un Territorio di caccia, ovvero il target specifico di persone alle quali il prodotto o servizio si rivolge;

  • il Piumaggio, ovvero il prodotto più rappresentativo della marca, ma anche gli elementi-chiave attraverso cui essa si identifica;

  • la Personalità e il Linguaggio, ovvero lo slogan rappresentativo del prodotto o servizio e il modo in cui il brand sceglie di comunicare al suo pubblico;

  • il Codice genetico, ovvero quelle peculiarità specifiche e intrinseche nel prodotto o servizio che rendono unico e distinguibile il brand rispetto a ogni altro concorrente.

Facciamo un esempio pratico e molto conosciuto: McDonalds. Possiamo dire che il Big Mac è il progenitore della “specie” McDonalds; il territorio di caccia è un pubblico tendenzialmente giovane, informale, che vuole spendere poco e senza troppi fronzoli; il piumaggio è rappresentato dagli hamburger più classici della multinazionale americana, ma anche dal celebre pagliaccio Ronald a livello di comunicazione; la personalità è trasmessa dal messaggio positivo “I’m loving it”; il codice genetico può essere rappresentato da un insieme di fattori quali la velocità del servizio, il prezzo conveniente, la capillarità di punti vendita sul territorio.

esempio-ristorante-McDonalds

L’insieme di tutti questi elementi – alcuni ereditari (detti anche genotipi, ad esempio il prodotto progenitore), altri variabili nel tempo (detti anche fenotipi, ad esempio il piumaggio, la personalità e il linguaggio, ma anche il territorio di caccia nei casi più estremi) – va a formare quello che viene appunto definito il codice genetico del brand. L’azienda che riesce a plasmarlo e a portarlo avanti negli anni con armonia e coerenza avrà grandi chance di resistere ai cambi generazionali e alle diverse mode che attraversano il mercato, diventando un punto di riferimento riconoscibile e pertanto predominante nel corso del tempo.

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Prisma di Kapferer: tutte le sfaccettature del brand

Un altro modello riguardante la costruzione dell’identità di marca è quello teorizzato da Jean Noel Kapferer e rappresentato attraverso un prisma dalle sei facce. Ciascuna di queste sei facce del prisma rappresenta un aspetto implicito nel brand, ovvero:

  • il fisico

  • la personalità

  • l’universo culturale

  • la relazione

  • il riflesso

  • la mentalizzazione

polo-lacoste

Kapferer utilizza come esempio di brand la Lacoste per illustrare il suo modello. Vediamo dunque i elementi sopracitati nello specifico.

Il fisico consiste nell’insieme delle caratteristiche intrinseche e percepibili in modo oggettivo dal pubblico. Nel celebre esempio della Lacoste – che prendiamo a nostra volta a modello – possiamo citare il formato della polo, il simbolo del coccodrillo, la qualità del tessuto e l’associazione mentale a pratiche sportive in un certo senso “elitarie” come il golf e il tennis.

Ogni brand dovrebbe possedere una personalità ben definita, ovvero un modo di essere e di presentarsi agli utenti opportunamente studiato, tagliato su misura per il target di pubblico al quale ci si rivolge e univoco nel tipo di messaggio e nel carattere che si vuole trasmettere all’esterno. Il carattere di Lacoste tende a fornire un’idea di rassicurazione e tranquillità.

Con il termine cultura si va invece a identificare il sistema di valori rappresentato dal brand e al quale il brand stesso attinge. Può trattarsi del Paese (o più in generale del luogo) di appartenenza, di una particolare tecnologia, di un determinato modo di essere e di rapportarsi alla vita. Nel caso di Lacoste, il marchio si fa portatore di valori classici e allo stesso tempo di ideali aristocratici.

La relazione è ciò che la marca può offrire come valore aggiunto al cliente che acquista il suo prodotto. Nel caso di Lacoste, così come per qualsiasi marchio che è sinonimo di lusso, una sensazione di elevazione sociale: indossare un capo con il suo marchio significa distinguersi dalla massa. In altre parole, un segno distintivo.

Il riflesso è invece l’immagine esteriore che il brand offre al suo destinatario ideale. Chi acquista un determinato prodotto vuole identificarsi con il prototipo di cliente per cui quello stesso prodotto è pensato. Il target ideale di una polo Lacoste è un giocatore di golf o di tennis. Il segmento di utenti che acquistano polo Lacoste è in realtà ben più ampio e variegato rispetto a quello ristretto a coloro che praticano tali discipline, ma chi compra Lacoste è probabilmente una persona che ama farsi identificare (o alla quale non dispiace farsi identificare) in quel preciso immaginario.

Se il riflesso è la percezione che vogliamo gli altri abbiano di noi, la mentalizzazione è viceversa la percezione interiore che proviamo nel fruire di un determinato prodotto. Il concetto è lo stesso, ma in questo caso puramente autoreferenziale: la mentalizzazione è l’immagine che crediamo di rispecchiare utilizzando quel brand. Chi compra una polo Lacoste esaudisce un proprio desiderio di distinguersi, di appartenere a una cerchia più elevata, di indossare un capo unanimemente considerato di alta qualità.

In conclusione

Il modello della brand genetic e quello del Prisma di Kapferer sono due differenti modi di spiegare come una marca possa individuare e trasmettere un preciso immaginario e un personale modo di comunicare con il pubblico alla quale si rivolge. Chi è in grado di inviare un messaggio univoco, ovvero percepito nello stesso modo da tutti gli utenti, e il più possibile positivo e identificativo, riesce a distinguersi dalla massa e a farsi riconoscere in ogni momento dal suo target di riferimento.

(fonti foto: wikipedia.org, flickr.com)

Emanuele Salvato

Senior copywriter per StampaPrint. Conseguita la Laurea in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Bologna nel 1998, Emanuele ha iniziato ad arricchire le sue competenze in media e comunicazione lavorando per numerose testate locali, arrivando al titolo di giornalista professionista. Abile nella ricerca, nel servizio clienti, nella gestione, nella pubblicità e nell'editing, Emanuele vanta oggi una collaborazione pluriennale con StampaPrint. Esperto di stampa online, Emanuele si occupa infatti della stesura e della pubblicazione di numerosi contenuti testuali che popolano il sito di Stampaprint.net.

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