Il blu è il colore preferito dalla maggior parte delle persone, questo fatto è probabilmente legato alle sensazioni che trasmette nelle sue diverse tonalità. A dare una dimensione dell’apprezzamento che le persone hanno per questo colore è il fatto che lo troviamo presente sul 53% delle bandiere nazionali nel mondo e rimane tendenzialmente il colore più utilizzato nei loghi aziendali.
La scoperta e l’utilizzo del colore blu è relativamente più recente rispetto agli altri colori, uno su tutti il rosso. Questo è dovuto al fatto che il colore blu non era immediatamente reperibile in natura: se in alcune zone del mondo, come ad esempio in Afghanistan, territorio ricco di miniere di lapislazzuli, produrre il colore blu sarebbe stato più semplice, nella preistoria europea non ve n’è alcuna traccia, non esistono infatti piante naturali blu, gli occhi chiari erano rari e non esistevano animali blu. Se si osservano le pitture rupestri delle grotte di Altamira e di quelle di Lascaux, ricche di particolari dettagliati che rappresentato la vita di oltre 10 mila anni fa, il colore blu è completamente assente.
Il termine blu a indicare il colore è apparso molto tardivamente nel linguaggio, al contrario del colore rosso, che nel corso dell’evoluzione delle lingue ha trovato immediatamente la sua collocazione. Difatti molte lingue avevano una parola per indicare il rosso ma nessuna che indicasse chiaramente il colore blu. Etimologicamente parlando, la parola blu deriva dall’antico germanico blau e dal francese bleu (turchino scuro), da cui sono nati in Italia sia il termine blu che blé, che è rimasto nel parlato popolare delle regioni centro-meridionali. La parola azzurro deriva invece dal persiano lazhward, il nome originale del lapislazzuli. Così come il turchino e il turchese rimandano alla Turchia, paese in cui la pietra era molto diffusa. L’indaco proviene dall’India, il celeste invece dal latino coelum, ovvero cielo. In antichità per lungo tempo ha persistito un’ambiguità terminologica tra blu e nero: in greco antico, il termine kuaneon indicava infatti entrambe le colorazioni, soprattutto nelle gradazioni più scure (Claudio Widmann, Il simbolismo dei colori, Ma.Gi., 2014). Sempre nel greco antico, le due parole usate con maggiore frequenza per indicare il blu sono glaukòs e kyaneos: quest’ultimo, in epoca omerica, serviva a indicare sia il blu chiaro degli occhi, sia il nero di un abito da lutto, ma mai il blu del cielo né quello del mare (Michel Pastoureau, Blu. Storia di un colore, Ponte alle Grazie, 2008. Nota ripresa da: H. Magnus, Histoire de l’evolution du sens des couleurs, Paris, 1878). In greco antico cyanos era il colore della sofferenza, rimanda infatti a cianotico, pallido. Per i latini l’azzurro, coeruleus, il ceruleo, viene dalla cera, ed era quindi una variazione di tonalità del bianco. Anche per gli gli antichi romani, il blu non era un colore a sé stante ma una variazione di altri colori, come il bianco o il nero.
Fu per primo William Gladstone, studioso e primo ministro del Regno Unito, che nel 1858, s’interrogava sul motivo per cui Omero nell’Odissea avesse definito il mare “nero come il vino”. Notò anche che le pecore e il ferro venivano definite con lo stesso lo stesso colore, ovvero viola, mentre il miele era verde. Sempre secondo le osservazioni di Gladstone, nell’Odissea il nero viene nominato 200 volte, il bianco 100, il rosso meno di 15, il giallo e il verde a stento 10. Successivamente, il filologo tedesco Lazarus Geiger (1829 – 1870) riprese il lavoro di Gladstone per comprendere se la percezione cromatica dei greci fosse esclusivamente loro. Studiò quindi le antiche saghe islandesi, il Corano, le antiche leggende cinesi, la Bibbia (in ebraico antico) e analizzò anche gli Inni vedici (una raccolta in sanscrito vedico dei testi sacri dei popoli arii): “[…] più di diecimila righe piene di descrizioni del cielo. Difficile che ci sia un argomento più evocato di questo. Il Sole e il progressivo arrossamento al tramonto, il giorno e la notte, nuvole e fulmini, l’aria e l’etere, tutti questi fenomeni si dispiegano innanzi a noi ancora e ancora […] ma c’è una cosa che nessuno potrà mai imparare da questi antichi canti […] e cioè che il cielo è blu”. Anche i Maya non distinguevano il blu dal verde: insieme identificavano il colore dell’universo; mentre in sanscrito la stessa parola, nila, significa sia blu che nero. Geiger teorizzò quindi che nelle terminologie delle culture antiche compaiono prima luce e oscurità, quindi bianco e nero. Successivamente il colore del sangue e del vino: il rosso, poi il giallo e il verde e infine il colore blu. Tra tutte le culture del passato studiate da Geiger solo una parlava esplicitamente del colore blu, o quantomeno del suo equivalente: gli Egizi.
Essi erano in grado di creare il pigmento blu (che per loro era simbolo del cielo e delle divinità celesti, spesso infatti veniva colorato di blu il volto di Amon) e lo utilizzavano per ornare edifici, statue, stoffe, esportandole successivamente in tutto il bacino Mediterraneo, le popolazioni che lo importavano tuttavia, non si erano mai prese la briga di nominare il colore ricevuto. Gli antichi Egizi furono i primi a sintetizzare il colore blu, circa 5 mila anni fa, riscaldando la sabbia del Nilo (che contiene silice e calcite, sali minerali e residui di rame) tra gli 800 e i 900 gradi.
Nell’Europa medievale e rinascimentale, per riprodurre il blu in pittura o per tingere le stoffe si utilizzavano due minerali finemente polverizzati: il lapislazzuli e l’azzurrite. Per i tessuti si usava anche il distillato di due arbusti, ovvero l’indigofera, diffusa in India, nelle Americhe e in Africa, oppure il guado, che cresceva nell’Europa nel nord. Nel medioevo i colori iniziarono ad avere anche un significato simbolico, poiché si credeva che il colore rivelasse la presenza di Dio, in quanto frutto dell’interazione fra la luce e oscurità. Per lo stesso motivo si pensava che la luce, filtrando tra le vetrate colorate delle chiese, avesse proprietà curative. A partire dal 1200, grazie ad una serie di innovazioni tecniche, l’indaco diede vita ad una fiorente industria, specie in Francia. A causa della grande distanza in cui si trovavano le materie prime, il blu poteva essere un colore notevolmente costoso.
Non per nulla, l’uso così abbondante del colore blu fatto da Giotto per dipingere la cappella degli Scrovegni stava anche a simboleggiare la grande ricchezza della famiglia Scrovegni. L’apoteosi del colore blu inizio nel 1700, grazie all’invenzione di un pigmento artificiale, il blu di prussia, che andò rapidamente ad arricchire la tavolozza dei pittori. Nello stesso periodo gli scienziati, grazie alle scoperte di Newton sullo spettro solare, attribuirono al blu lo status di colore fondamentale. La produzione industriale dell’indaco artificiale fu messa a punto in Germania alla fine dell’800.
Sempre in campo artistico, il Cavaliere Azzurro (Der Blaue Reiter) è il nome scelto da Franz Marc e da Vasilij Kandinskij, per il loro movimento artistico: “Ad entrambi piaceva il blu, a Marc i cavalli a me i cavalieri” spiegherà Kandinsky.
Il blu di prussia era il colore che Cézanne utilizzava nelle sue opere dedicate alle bagnanti e che Hokusai ha utilizzato per la stampa delle sue vedute del monte Fuji.
Lo stesso blu veniva utilizzato da Van Gogh per dare vita ai suoi straordinari cieli notturni e da Picasso per le figure dolenti del suo periodo blu.
Il colore blu è oggi associato alla riflessione contemplativa e della meditazione, molto spesso indica il sapere unito alla dedizione, oppure la delicatezza d’animo e la partecipazione affettiva: non a caso viene infatti associato anche alla figura sacrale della Madonna. Nei trattati di cromoterapia viene considerato il colore del silenzio e della tranquillità, della tenerezza della gioia di vivere; è anche considerato il colore dei miti e dei sogni, si ritrova infatti molto spesso nelle fiabe. Originariamente, nei primi cicli dei racconti arturiani, figuravano come protagonisti esclusivamente cavalieri rossi (considerati figure negative e animati di cattive intenzioni), neri (in riferimento a personaggi anziani e/o saggi) oppure verdi (a indicare i cavalieri giovani ed inesperti). In queste narrazioni il colore blu compare soltanto verso la metà del 1200, quando viene introdotto il prototipo del principe azzurro, valoroso, giusto e leale, che viene poi riproposto in tutte fiabe come archetipo della figura maschile salvifica.
Secondo la psicologia del colore, il blu è un colore che ispira fiducia e calma, riduce lo stress e predispone ad un atteggiamento positivo e di lealtà, di conseguenza è sempre la prima scelta per moltissimi loghi istituzionali (come la Polizia e i Carabinieri), di partiti politici ma anche di istituti bancari e assicurativi o di aziende finanziarie. Le caratteristiche di rilassatezza e di spirito amichevole lo rendono anche perfetto per aziende che puntano sull’interazione come ad esempio Twitter, Skype, Facebook, Flickr, Linkedin e Vimeo. In ogni caso, in virtù della sensazione di tranquillità e fiducia che ispira, viene molto usato in ogni ambito e settore.
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