Con la massiccia diffusione del web e il suo ingresso nelle case di tutti gli italiani, molti hanno iniziato a temere la progressiva scomparsa della nostra lingua. Nel 2012 Il Corriere riportava il rapporto La lingua italiana nell’era digitale condotto dall’Istituto di linguistica computazionale del Cnr di Pisa (Ilc-Cnr) secondo cui l’incisione del web in Italia si attestava, all’epoca, al 51,7%, pari a 30 milioni di internauti su 58 milioni di cittadini (circa il 6,3% di quelli dell’Ue), registrando una crescita del 127,5% tra il 2000 e il 2010. Il numero di internauti italiani però è rimasto stabile nei cinque anni successivi mentre è aumentato il numero di quelli dei Paesi in via di sviluppo. Lo studio notava inoltre che al di fuori dei confini dell’Unione Europea, chi parlava la lingua italiana erano 520 mila americani, 200 mila svizzeri e 100 mila australiani e perciò di lì a pochi anni la proporzione di coloro che parlano l’italiano avrebbe subito una forte diminuzione, anche a causa della sempre più massiccia invasione del globish. Il Globish è una versione semplificata dell’inglese che utilizza solo i termini e le frasi più comuni e semplici della lingua. Il termine, coniato nel 1998 dall’ex tecnico IBM Jean-Paul Nerriere, si compone dalla fusione delle parole Globe ed English, ed è traducibile in italiano come globinglese, ovvero inglese globale.
Eppure, secondo l’autorevole parere dell’Accademia della Crusca che della tutela della lingua italiana ha fatto la sua missione, la situazione non è così tragica come sembra: “Tutte le lingue, naturalmente, possono estinguersi – afferma Claudio Marazzini, linguista e presidente dell’Accademia della Crusca –, anche l’italiano, ma la nostra è protetta anche dalla sua lunga tradizione culturale e letteraria. L’italiano è una grande lingua di cultura e di questo gli italiani non sono sempre consapevoli”. E continua: “In un certo senso, i custodi dell’italiano sono i 60 milioni di parlanti madrelingua e gli altri per i quali è una seconda lingua. Siamo abbastanza al sicuro da un’imminente scomparsa dell’italiano”.
Certamente, è innegabile che determinati settori, il comparto web e quello economico su tutti, sembrano progressivamente diminuire l’uso della lingua italiana, per aumentare quello dell’inglese, anche Marazzini nota come “Oggi Milano è tra i principali centri di innovazione linguistica, anche se vi si avverte a volte, purtroppo, una certa sfiducia nei riguardi della lingua italiana a favore dell’inglese”. Non è tutto così grigio però, l’innovazione, se accettata con criterio, è qualcosa di positivo; la globalizzazione, l’apertura la mondo, se da un lato suscita paure, dall’altro crea nuove opportunità di conoscenza. Penso al lavoro di Guy Deutscher dal titolo Through the Language Glass: Why The World Looks Different In Other Languages da cui molti designer si sono lasciati ispirare, come ad esempio Ella Frances Sanders che con il suo Lost in Translation: An Illustrated Compendium of Untranslatable Words ha creato un piccolo compendio illustrato di parole intraducibili in altre lingue.
Restando in Italia si pensi al progetto Dillo in italiano della pubblicitaria e giornalista Annamaria Testa che invita ad un uso più accorto della lingua italiana da parte di chi ha ruoli e responsabilità pubbliche: “Non è una battaglia di retroguardia, e non è un tema marginale. Non è neanche una battaglia contro l’inglese ma va, anzi, in favore di un reale bilinguismo”. Un altro progetto, intelligente nel suo essere curioso e bizzarro, è una serie di videopillole presentate dalla GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo sul canale Sky Arte, dove l’artista Sabrina D’Alessandro, grazie al suo URPS (Ufficio Resurrezione Parole Smarrite), porta i telespettatori attraverso un viaggio nella lingua italiana per riscoprire alcuni antichi vocaboli ed espressioni cadute in disuso, eppure ancora sorprendentemente attuali.
La stessa Accademia della Crusca porta avanti in prima persona diversi progetti per la tutela della nostra lingua, come la Settimana della lingua italiana nel mondo, organizzata assieme al ministero degli Affari Esteri, un’evento di promozione dell’italiano come grande lingua di cultura classica e contemporanea, giunto quest’anno alla sua sedicesima edizione. L’evento è nato nel 2001 e da allora ha luogo ogni anno nella terza settimana di ottobre, si snoda attorno ad un tema che serve da filo rosso per conferenze, mostre, spettacoli e incontri con scrittori e personalità.
È stata in una di queste occasioni che l’Accademia della Crusca ha sottolineato la propria apertura: “La stessa Accademia della Crusca, che pure ha attraversato, nel corso della sua lunga storia, alcune fasi caratterizzate dal purismo, a partire dalla seconda metà del Novecento ha accentuato la disponibilità verso l’evoluzione della lingua”. E include inoltre l’accettazione (ragionevole) di parole straniere, soprattutto usate in specifici contesti dove sono ormai ritenute insostituibili. L’esempio più semplice? Email.
Vi è poi il capitolo social network, croce e delizia di tutti i puristi della lingua. Anche in questo ambito, l’Accademia della Crusca si mostra positiva, poiché aumentando il volume di scrittura prodotto ogni giorno, si potrebbe avere un effetto positivo sulle competenze linguistiche. Potrebbe, perché concretamente gli svarioni sono tantissimi ma si sa, per ogni errore c’è sempre pronto un grammar Nazi (neologismo che cade a fagiolo, poiché indica una persona o soggetto che abitualmente corregge e critica l’utilizzo della lingua degli altri e non sopporta coloro i quali la storpiano, specialmente nei dialoghi formali e su Internet. Fonte:Wikipedia) a difendere a spada tratta la purezza della lingua. Sui social network la sensibilità verso l’errore grammaticale è cresciuta esponenzialmente: basta osservare qualsiasi sequela di commenti ad un post per notare facilmente quanto l’apostrofo fuori luogo o la doppia sbagliata, solo per citarne un paio, vengano stigmatizzati all’istante (a volte mancando di educazione e peccando di arroganza) tanto che chi viene colto in fallo si affretta a chiedere scusa. Prima dell’avvento dei social, ai tempi della comunicazione per così dire in differita, gli errori passavano maggiormente inosservati e la figuraccia restava confinata in un ambito ristretto. Anche i numeri registrati dall’Accademia della Crusca sui social network dimostrano un buon interesse verso le questioni grammaticali: l’account Twitter conta più di 50mila seguaci e la pagina Facebook ha ampiamente superato i 300mila fan. Sicuramente a questo successo contribuisce l’accattivante stile comunicativo adottato dalle accademiche che gestiscono i profili, le linguiste Vera Gheno e Stefania Iannizzotto, che hanno preferito un tono più umoristico e coinvolgente, piuttosto che atteggiarsi a rigide insegnati; il pubblico apprezza e segue numeroso.
Infine, non da trascurare, il grande successo che stanno avendo alcuni libri divulgativi proprio a tema grammaticale che spiegano regole e usi della lingua unendo rigore e leggerezza, i più noti sono i lavori dei linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, autori dei best seller (altro forestierismo) Viva il congiuntivo! (2009), Piuttosto che (2013), L’italiano in gioco (2014) e L’italiano. Biografia di una lingua (2006), tradotto e pubblicato persino in Giappone (Hakusuisha, Tokio 2008).
La morte della lingua italiana? Pare che dovrà attendere!
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