Qui sul blog di Stampaprint amiamo parlare delle ultime tecnologie e di come esse influenzino la nostra vita. Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare che molto spesso le tecnologie contemporanee hanno in realtà origini molto antiche e a dir poco affascinanti. È il caso dei robot che da sempre, fin dall’antica Grecia, hanno affascinato l’uomo. Proprio così, se oggi abbiamo a che fare con chatbot e ancora ci appassioniamo a telefilm a tema sci-fi, è tutto merito di una storia lunga millenni.
Le origini
Partiamo dal principio, gli antenati dei robot e dei bot contemporanei sono gli automi, ovvero macchine in grado di operare in modo autonomo. Il termine deriva dal greco automatos, ovvero “che agisce di propria volontà”. Nell’antica Grecia gli automi erano creati come giocattoli volti ad intrattenere, oppure idoli religiosi per impressionare i fedeli o ancora strumenti scientifici per coadiuvare gli studiosi nella dimostrazione di una teoria. Il più antico automa con sembianze umane sopravvissuto fino ai giorni nostri è datato III secolo a.C. ed è conosciuto come Servo automatico di Philon. La storia vuole che sia stato ideato e progettato da un anonimo ingegnere e scrittore di Bisanzio. La funzione del Servo è versare il vino e il suo funzionamento è meccanico: all’interno ci sono due contenitori (uno per il vino e uno per l’acqua) collegati alla brocca tramite tubi posti nelle braccia. La mano sinistra dove viene posto il bicchiere da riempire è collegata ad un sistema di leve che regola il funzionamento dell’automa.
Non dimentichiamo poi che Erone di Alessandria (matematico, ingegnere e inventore del I secolo a.C.) ha scritto Automata, straordinario trattato in cui illustra il funzionamento dei teatrini dotati di moto autonomo. Ci sono poi numerosissimi esempi tratti direttamente dal mito: Dedalo utilizzò l’argento vivo per installare una voce nelle sue statue e il dio Efesto creò diversi automi per il suo laboratorio, Talo, un uomo artificiale di bronzo e, secondo la versione di Esiodo, la più famosa Pandora.
Nella cultura cinese troviamo un resoconto sugli automi nel testo del Libro del Vuoto Perfetto (III secolo a.C.), dove il re Mu incontra un ingegnere meccanico chiamato Yan Shi, nel testo definito col termine artefice.
Altre tracce antiche si ritrovano nell’VIII secolo, quando l’alchimista islamico Giabir ibn Hayyan nel suo trattato Il libro delle pietre raccoglie ricette per costruire serpenti, scorpioni ed esseri umani artificiali. Nell’XI secolo invece Alī Ibn Khalaf al-Murādī scrisse il Libro dei segreti risultanti dai pensieri, un trattato di ingegneria meccanica dedicato alla costruzione di complessi automi. E questi sono solo alcuni dei resoconti che si possono trovare, a riprove dell’interesse e della curiosità che già allora permeava gli uomini, senza alcuna distinzione di nazionalità.
I secoli successivi
L’interesse per gli automi è proseguito per tutti i secoli successivi, Al-Jazari (matematico, inventore e ingegnere meccanico, nonché il più importante esponente della tradizione islamica della tecnologia), attorno al 1200 inventò un automa per il lavaggio delle mani utilizzando per la prima volta il meccanismo di scarico in uso ancora oggi per la tazza delle toilette.
Persino Leonardo da Vinci progettò un automa. Avvenne intorno al 1495. In alcuni appunti del codice Atlantico (scoperti solo negli anni cinquanta del ‘900) si trovano disegni dettagliati per un cavaliere meccanico in armatura in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella, almeno secondo gli appunti.
Nel Rinascimento i trattati di Erone di Alessandria vennero pubblicati e tradotti in latino e italiano e l’interesse per gli automi aumentò ancora di più. La Francia divenne poi la patria di giocattoli meccanici, nel 1649 infatti un artigiano chiamato Camus progettò per il piccolo Luigi XIV un cocchio meccanico in miniatura completo di cavalli, fanti e una signora nella vettura. Questi meccanismi sarebbero poi divenuti i prototipi dei motori nella successiva rivoluzione industriale inglese. L’inventore francese Jacques de Vaucanson nel 1737 creò quello che è considerato il primo automa del mondo costruito con successo, ovvero Il suonatore di flauto. Lo stesso de Vaucanson costruì anche un’anatra meccanica, l’anatra digeritrice, che dava l’illusione di nutrirsi e defecare. L’automa più probabilmente più conosciuto al mondo venne costruito nel 1770 da Wolfgang von Kempelen. È noto come Il Turco ed è una macchina per giocare a scacchi che all’epoca fece il giro delle corti europee venendo spacciata per automa. “Spacciata” perché anni dopo, nel 1857, si scoprì che in realtà il Turco aveva un operatore all’interno.
Gli automi si diffusero anche nel Giappone del periodo Edo (1603 – 1867) col nome di Karakuri ningyō, e venivano utilizzati per servire il tè. Tra il 1860 e il 1910 a Parigi prosperarono numerose piccole imprese familiari di costruttori (Vichy, Roullet & Decamps, Lambert, Phalibois, Renou e Bontems), autori degli automi collezionati ancora oggi da numerosi appassionati.
Dopo le Guerre Mondiali
Se fino ad ora gli automi erano considerati poco più che giocattoli, dopo la Grande Guerra cominciarono invece a essere considerati uno strumento per aiutare l’uomo nei lavori più pesanti. Nel 1938 gli americani Willard Pollard e Harold Roselund progettarono per la società DeVilbiss un meccanismo programmabile che spruzzava vernice.
Negli anni ’50 iniziano ad aumentare le ricerche sull’automazione e sulla robotica. Nel 1951, nell’ambito del programma per l’energia atomica, lo scienziato Raymond Goertz progettò un braccio automatico per manovrare il materiale radioattivo. Otto anni dopo Marvin Minsky e John McCarthy aprono il laboratorio di intelligenza artificiale al MIT. È l’inizio della contemporaneità.
La cultura pop
Il fascino dell’automa ha pervaso non solo il campo scientifico ma anche diversi ambiti culturali. Tra il finire dell’800 e l’inizio del ‘900 inizia a diffondersi la letteratura fantascientifica che abbraccia tematiche legate alle invasioni aliene e alle rivolte robotiche. Il suo successo continua irriducibile sino ai giorni nostri. Nel 1927 esce Metropolis di Fritz Lang, unanimemente ritenuto il modello del cinema di fantascienza moderno, avendo ispirato pellicole quali Blade Runner, 2001 Odissea nello Spazio e Guerre stellari.
Nel 1939 appare al cinema The Wizard of Oz, musical tratto dal celebre racconto di L. Frank Baum del 1900. L’uomo di latta, uno dei protagonisti, è rappresentato nella pellicola secondo l’iconografia tipica del robot che aveva preso piede dalla letteratura di genere, tanto che Jack Haley, l’attore che interpretava il personaggio veniva ricoperto di polvere di alluminio per rendere più veritiera l’apparenza. E che dire dei robottoni giapponesi che hanno incantato generazioni di bambini? Il primo del suo genere fu Mazinga Z, creato nel 1972 dalla penna di Go Nagai. In quanti poi si ricordano di Super Vicky, la serie tv americana andata in onda in patria tra il 1985 e il 1989 e diventata di gran successo qui in Italia negli anni ’90. Ogni episodio raccontava le peripezie della famiglia Lawson, impegnata a convincere i vicini di casa che Vicky è una ragazzina vera e non il robot super tecnologico che è in realtà. Vi sono poi tutte le opere letterarie di Isaac Asimov, pietra miliare sia nel campo della fantascienza sia in quello della divulgazione scientifica. Oltre ad aver scritto una serie di romanzi riunita nel titolo il Ciclo dei Robot, ha creato anche il famosissimo Io Robot (I Robot, 1950), una raccolta di racconti di fantascienza che affronta temi quali l’interazione fra il genere umano e l’androide, i robot e la morale. Il libro ha ispirato il film del 2004 diretto da Alex Proyas con protagonista Will Smith. A significare come, col passare del tempo, la curiosità verso l’androide non sia mai andata scemando. Infatti, ancora, ecco il ciclo cinematografico Terminator, composto da cinque pellicole, prodotte dal 1984 al 2015.
Nella saga i Terminator sono cyborg ideati dall’intelligenza artificiale Skynet, un supercomputer che, acquisita autocoscienza, si pone come obiettivo la distruzione del genere umano. Nel 2011 è poi la volta di Hugo Cabret, film diretto da Martin Scorsese e tratto dal romanzo del 2007 La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick. Nel film, un piccolo automa scrittore è fondamentale alla risoluzione del mistero.
Importante è anche l’automa al centro delle vicende de La migliore offerta, film del 2013 scritto e diretto da Giuseppe Tornatore. Altri esempi più recenti di quanto l’androide sia definitivamente entrato nella cultura internazionale sono Her, film del 2013 diretto da Spike Jonze che narra le vicende di Theodore, un uomo afflitto dalla fine del suo matrimonio, che s’innamora dell’AI femminile prodotta dal sistema operativo OS1.
Infine il colosso Pixar Big Hero 6 (2014) con protagonista il tenero robot Baymax (già nel 2008, con WALL•E, Pixar aveva affrontato l’argomento), progettato per dare ogni tipo di assistenza medica e sanitaria registrata all’interno del suo chip medico.
E il recentissimo Westworld, serie tv figlia dell’omonimo film del 1973 e ambientata in un parco divertimenti abitato da sofisticati androidi. Questo per citare solo alcuni esempi, sono sicura che ve ne verranno in mente altre mille!
L’ultimo progetto interessante di cui voglio parlare è nato dalla mente del designer creativo e artista Massimo Sirelli. Nel 2013 ha dato vita alla prima Casa Adozioni di Robot da compagnia del mondo, inaugurando l’iniziativa Adotta un Robot. Si tratta di piccole opere nate assemblando oggetti suggestivi trovati in ogni parte del mondo, per dare vita a robottini ognuno rigorosamente battezzato con un proprio nome: “Negli ultimi anni ho girato per i mercatini di molte grandi città: ho camminato nelle fitte vie di Khan el khalil a Il Cairo, ho contrattato con i venditori di Monastiraki ad Atene, nei vicoli del Barrio Gotico e tra i banchi polverosi del mercato de Los Encantes a Barcelona, o al Carreau du Temple nel Marais di Parigi. Ma anche per le stradine del Balon e del Cortile del Maglio a Torino. Costruire questi robot per me è un atto d’amore, attraverso cui cerco di raccontare le storie di vita delle persone che ho incontrato e degli amici che mi stanno intorno”.
Ma un atto d’amore non può essere fine a se stesso, perciò Sirelli ha deciso di dare in adozione le proprie opere, affidandole alle cure di volontari provenienti da tutta Europa. Per adottare un robot devi fare richiesta, spiegando perché vuoi proprio quel particolare robot, che cosa di lui ti ha colpito e in quale ambiente famigliare andrà a vivere. Sarà poi Sirelli ad approvare o meno la candidatura.
Il fascino dell’automa ha attraversato poeticamente tutta la storia del mondo ed è ormai intrinsecamente legato all’immaginario di ognuno, declinato nella maniera preferita. I robot sono entrati ormai nella quotidianità di ogni persona e, poco ma sicuro, hanno ancora molto da dire.
Lascia un commento