L’arancione è il colore che corrisponde alla lunghezza d’onda di circa 620 – 585 nanometri. Le culture primitive conoscevano solo due termini per identificare i colori, e tali termini si riferivano sempre al bianco e al nero; quando però la lingua si evolveva tanto da comprendere un ulteriore termine, questo corrispondeva sempre al rosso (Brent Berlin e Paul Kay, 1969). Sono state elaborate diverse teorie per capire questa primitività del rosso: Frederic Portal, nel suo libro Sui Colori Simbolici – Nell’antichità, nel medioevo e nell’età moderna (2010), suggerisce che se le tenebre sono simboleggiate dal nero, ovvero la negazione dei colori, mentre invece la luce può essere stata simboleggiata da due colori: il rosso e il bianco. Secondo Portal, infatti, la luce non esiste se non mediante il fuoco, il cui simbolo è il rosso. Questo fa quindi del rosso un colore primario. Anche per questo motivo gli altri colori, arancione compreso, erano fortemente interdipendenti, essendo considerati sostanzialmente delle sfumature secondarie dei colori primari. Nonostante quindi l’arancione non avesse nome ma vivesse solo come sfumatura a metà tra il rosso e il giallo, era un colore già molto amato nell’antichità. Il termine greco xanthós comprendeva le gradazioni del giallo fino all’arancione, al rosso, al bruno. È un termine che indicava sia il giallo del sole che il colore del fuoco, ma anche i capelli biondi e il colore dell’oro. Con il termine krokōtòs, si indicava l’uso dello zafferano come colorante per i tessuti e dunque la produzione di una colorazione dove rosso e giallo erano strettamente interconnessi: con molta probabilità in questo modo veniva tinto il flammeum, il tipico velo da sposa romano. In latino un termine fondamentale è flavus, che sta a indicare i capelli biondo-rossicci degli eroi greci e romani; un altro termine molto curioso è helvus, traducibile pressapoco con giallastro, che Varrone usa per indicare il miele e che Catone il Vecchio e Plinio usano per indicare la colorazione di una varietà d’uva e del vino che ne deriva, probabilmente similare ai rosati contemporanei. Plinio il Vecchio, nel I secolo, nella sua Naturalis Historia racconta come gli antichi Egizi erano soliti utilizzare una particolare gradazione di terracotta dal colore aranciato per dipingere gli incarnati delle pitture parietali di tombe e templi. Tale argilla era un derivante dal solfuro di arsenico, un minerale chiamato al tempo risigallo.
Lo stesso minerale venne utilizzato secoli dopo come medicamento dagli alchimisti medievali, che avevano letto a loro volta la Naturalis Historia di Plinio. Questo nonostante nel corso del Medioevo non si facesse largo uso della colorazione aranciata, poiché le mescolanze erano considerate impure.
In Oriente l’arancione era ed è tuttora un colore molto utilizzato, poiché simboleggia la transizione in Cina e l’illuminazione della fede, nonché la rinuncia a una vita di piaceri, per i Buddisti, non a caso ne caratterizza le vesti e addirittura il colore della pelle nella pittura. Anche nell’induismo il colore arancione indica la rinuncia ai beni materiali e l’ascetismo, ed è per questo utilizzato in particolare per gli abiti dei sannyasi e dei brahmacharya; allo stesso scopo è utilizzato anche dai neo-sannyasi, i seguaci di Osho Rajneesh, per questo soprannominati proprio gli arancioni.
Il termine arancione e l’equivalente orange non entrò in uso fino all’arrivo del frutto omonimo in terra europea, cosa che avvenne a opera degli Arabi verso l’XI secolo. A sua volta il termine arancio deriva dal persiano narany, che poi sia lo spagnolo (naranja) sia altre lingue neolatine hanno sostanzialmente conservato. I primi esemplari di arancia giunti in Europa raggiunsero per prime le coste della Spagna e della Sicilia; si trattava di arance amare utilizzate unicamente per ornare i giardini degli aristocratici, di fatto ancora agli inizi del XVI secolo possedere un agrumeto era ritenuta condizione essenziale per le corti raffinate. Anche a Leonardo da Vinci venne chiesto di progettarne le serre per la residenza milanese di Carlo d’Amboise e ancora più famose sono le orangeries di Luigi XIV, poi prese a modello da numerosi principi in tutta Europa.
Nel ‘700 rimane significativa la vernice creata da Antonio Stradivari per rifinire i suoi violini. Tale vernice, creata a partire da “[…] ingredienti comuni e semplici da reperire, a cui attingevano ampiamente anche gli artigiani e gli artisti del XVIII secolo”, secondo quanto afferma una ricerca pubblicata nella rivista Angewandte Chemie International Edition, donava ai violini Stradivari una caratteristica colorazione aranciata. La ricerca, condotta da Jean-Philippe Echard del Musée de la Musique di Parigi, ha consentito di identificare sostanzialmente due tipi di pigmenti rossi nelle finiture di Stradivari: il primo probabilmente ottenuto dalla tintura della cocciniglia e il secondo prodotto a partire dall’ossido di ferro.
Sempre nel Settecento era largamente usato il cromato di piombo, comunemente chiamato crocoite, che nel 1797 portò il chimico francese Louis Nicolas Vauquelin alla scoperta del cromo e conseguentemente alla creazione del primo pigmento arancione sintetico. Questo pigmento divenne poi insostituibile sulla tavolozza degli Impressionisti, in particolar modo di Pierre-Auguste Renoir e Edgar Degas.
Restando nell’ambito artistico dell’800, punto focale dell’utilizzo del colore arancione erano i capelli delle dame dei pittori Preraffaelliti, ispirati a quelli di Elizabeth Siddal, moglie di Dante Gabriel Rossetti. Anche Vincent van Gogh nella sua produzione fa largo uso dell’arancione: “non esiste blu senza giallo e senza arancione”.
Nel corso del ‘900 l’arancione continua ad apparire nella tavolozza di Miró, che riproduceva così su tela i colori della terra della sua Catalogna, e di Max Ernst, emblematica è la sua La vestizione della sposa.
Negli anni ’60 l’arancione diventa un colore di design, grazie alla sua vibrante brillantezza e alle opere del designer danese Verner Panton. A partire dalla Seconda guerra mondiale l’arancione diventa un colore funzionale, in virtù della sua prerogativa di essere avvistato facilmente anche a distanza. L’arancione s’impone così nell’equipaggiamento d’emergenza (giubbotti gonfiabili e salvagenti) di navi o aerei e nella segnalazione dei lavori stradali.
Sempre a partire dalla Seconda Guerra Mondiale l’arancione diventa il colore ufficiale della maison di moda Hermès. Nel 1945 Émile-Maurice Hermès si trovò a dover sostituire le scatole beige (usate per confezionare tutti i loro prodotti) che la guerra aveva reso irreperibili.
Le uniche scatole che riuscì a trovare erano di un acceso color arancione e in breve tempo questa tonalità divenne il simbolo della maison Hermès, rendendola riconoscibile in tutto il mondo.
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