Il caso Tiziana Cantone ha fatto molto discutere l’opinione pubblica e i media lo scorso settembre.
Tutto inizia nel maggio del 2015, quando Tiziana si presenta in Procura per fare una denuncia. Racconta di aver girato poco tempo prima dei video un po’ hot durante un periodo di fragilità e depressione e di averli poi inviati, per gioco, a persone con le quali aveva intrecciato «relazioni virtuali» sui social network. Scopre però che quei video sono finiti su molti siti porno, a sua insaputa e senza il suo consenso. Il 13 luglio 2015 torna davanti al giudice civile di Aversa per chiedere fortemente la rimozione dei video da siti e motori di ricerca. Premette di essersi fatta riprendere “volontariamente e in piena coscienza”, ma che la pubblicazione è avvenuta a sua totale insaputa e senza il suo consenso. Inizia poi a raccontare quello che le succede a partire dal 25 aprile, pochissimo tempo dopo aver girato i video. Un amico le dice di averla vista in un filmato su un sito porno, pochi giorni più tardi una nuova scoperta su altri due siti porno, e poi ancora un’altro. Tiziana comincia quindi a fare ricerche mirate: scopre dei forum per adulti in cui si parla di lei, alcuni gruppi su Facebook dedicati a lei e numerosi profili fasulli con il suo nome e le sue foto tratte dai frame di quei filmati. Un altro amico poi le racconta di aver ricevuto su WhatsApp una sua foto tratta da uno dei video. Ormai Tiziana è “riconosciuta e derisa”, come si legge nella denuncia. Per questo motivo Tiziana smette di uscire da casa, gli amici spariscono e nessuno la chiama più. È costretta a lasciare il lavoro presso il locale di proprietà dei genitori in provincia di Napoli e fugge in Toscana. La situazione però non cambia, ha attacchi di panico, piange, pensa al suicidio. Ci riesce il 15 settembre 2016.
Revenge Porn, così è chiamata la condivisione pubblica tramite il web di immagini intime esplicite, senza alcun consenso del protagonista delle stesse. Oltre a non avere il permesso dell’interessato, chi pubblica online le immagini lo fa per ripicca e ritorsione nei confronti della persona coinvolta. In pratica si tratta di una vera e propria molestia online. Il caso di Tiziana non è il primo, non è stato e non sarà l’ultimo non solo in Italia ma nel mondo. Il fenomeno purtroppo, con internet e la rapidissima diffusione dei dati è tutt’altro che in calando. Non tiene invece il passo la legislazione che non è in grado di tutelare a dovere le vittime. Ciò che è importante in casi di revenge porn è un intervento tempestivo ed efficace. In altri Paesi, ad esempio negli Stati Uniti dove, come possiamo ben immaginare, il fenomeno è immenso, si è intervenuti legiferando e ponendo le basi per combattere il revenge porn. Sono infatti 32 gli Stati americani che hanno cominciato ad emanare leggi specifiche in materia, anche se però non ancora allineati né in termini di pene inflitte né nell’utilizzo dei mezzi per contrastare il fenomeno. Ciononostante i soggetti ritenuti colpevoli vengono solitamente puniti severamente, sia per quanto concerne l’entità del risarcimento danni, sia per la determinazione dei periodi di detenzione. La stessa mobilitazione si è potuta osservare in Israele, Germania, Regno Unito e Australia. In Italia invece non esiste una legge specifica in proposito che tuteli le vittime. È sbagliato però pensare che l’iter italiano pecchi in efficacia: nel 2015 un uomo è stato condannato ad un anno e 10 mesi di reclusione (tutti da scontare) e al pagamento di 5mila euro di risarcimento alla vittima. L’accusa e le indagini nel comparto giudiziario italiano rientrano però nel più ampio calderone del reato di diffamazione e di violazione della privacy, con le conseguenti tempistiche lunghissime richieste dal garante della privacy o dal ricorso in giudizio.
L’enorme risonanza degli accadimenti dell’ultimo periodo però ha dato una decisa scossa anche nel campo giuridico: nel settembre del 2016 è stata infatti presentata una proposta di legge per l’introduzione dell’articolo 612-ter del codice penale, concernente il reato di diffusione di immagini e video sessualmente espliciti. La proposta prevede di punire con la reclusione da uno a tre anni per chiunque diffonde immagini private, e la pena è aumentata della metà se il fatto è commesso dal partner. Ciò che continua a mancare però è la sensibilizzazione e la prevenzione.
Un aiuto nella lotta al revenge porn viene anche dal mondo tecnologico con l’app rumuki, gioco di parole in salsa giapponese dalle parole inglesi room key. Disponibile per iOS e presto per Android, l’app accoppia i telefoni della coppia per la registrazione di un video e fa in modo che questo sia protetto da due chiavi di sicurezza, una per ogni telefono. Per registrare un video in pratica bisogna leggere con il proprio iPhone la chiave generata via codice QR nel dispositivo del partner. Per vedere il video l’altro partner dovrà acconsentire permettendo di leggere il codice QR con la chiave privata. Ogni video è dunque criptato e per visualizzarlo occorre necessariamente il consenso e quindi le chiavi di entrambi gli utenti. Se uno dei due non è d’accordo, l’altro non potrà visualizzare il video né tantomeno utilizzarlo a piacimento. Se uno dei due partner decide di gettare via la chiave, il video sarà irrecuperabile e cancellato per sempre. Rumuki non tiene traccia delle clip in nessun luogo che non sia il dispositivo mobile degli interessati e non li salva mai in remoto sui propri server. In questo modo garantisce che i contenuti non vengano intercettati da terzi e quindi diffusi anche in questo caso senza il consenso degli interessati. Inoltre Nathan Kot, software engineer, creatore e fondatore di rumuki ha messo a disposizione molti moduli di produzione propria utilizzati internamente, oltre all’assortimento di librerie open source su cui l’app si appoggia, con l’obbiettivo di essere il più trasparente possibile. Secondo Kot al momento stanno lavorando ad una revisione ancora più completa della sicurezza dell’app: “L’implementazione della sicurezza deve ancora essere valutata e testata. Questi processi in genere richiedono molto tempo e un sacco di soldi, ma è sicuramente il passo successivo”.
La gente sta infatti cominciando ad aspettarsi un nuovo livello di sicurezza per le loro comunicazioni digitali di qualsiasi tipo. Con le rivelazioni di Edward Snowden e l’elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, solo nel mese di dicembre le chiamate e gli scambi di messaggi crittografati hanno registrato un aumento del 400%. La cartina tornasole delle nuove esigenze degli utenti.
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